
I cambiamenti climatici e la lotta al surriscaldamento del pianeta sono temi fondamentali a cui gli Stati e tutti gli attori internazionali, a partire dagli ultimi decenni, stanno finalmente prestando la dovuta attenzione.
Le strategie e le soluzioni individuate dalla società mondiale, tuttavia, rischiano di essere inconcludenti o, quantomeno, tardive: è ciò che emerge da uno studio dell’Università di Rochester, condotto dal professor Adam Frank e dai suoi collaboratori del dipartimento di fisica ed astronomia.
L’obiettivo dello studio era quello di porsi alcune domande legate alla sopravvivenza a lungo termine della specie umana ed al modo in cui le civiltà dell’intero cosmo gestiscano i cambiamenti ambientali dovuti allo sviluppo tecnologico. La scala di riferimento, pertanto, era universale a livello sia spaziale che temporale.
“Attraverso lo spazio ed il tempo cosmici – afferma il professor Frank – ci saranno vincitori che saranno riusciti a vedere cosa stava accadendo e ad immaginare un percorso attraverso ciò, e perdenti che semplicemente non saranno riusciti ad congiuntamente ottenere i propri scopi e le loro civiltà sono cadute in disgrazia. E quindi, la domanda è: a quale categoria vogliamo appartenere?“
Su tali basi, Frank ed i suoi collaboratori hanno sviluppato per la prima volta un modello matematico che mostra i quattro possibili percorsi in cui una civiltà ed il suo pianeta possono evolvere insieme.
Seguendo la tabella, nel primo scenario – il cosiddetto modello “Die-Off” (Estinzione) – lo sviluppo delle tecnologie trasforma così tanto l’ambiente planetario che quasi tutta la popolazione (circa il 90%) non è più in grado di sopravvivere ai cambiamenti. Piccoli nuclei di persone potrebbero sopravvivere, ma probabilmente senza la moderna tecnologia ad alto consumo energetico che ha causato le alterazioni ambientali.
Nel secondo scenario, detto di “Sustainability” o di “Atterraggio morbido”, la popolazione aumenta, il pianeta inizia a surriscaldarsi a causa di ciò, ma si è in grado di trovare un buon equilibrio in cui la popolazione raggiunge un livello stabile ed il pianeta non cambia più.
Il terzo scenario, detto di “Collasso senza cambiamenti di risorse”, la popolazione cresce molto più rapidamente di quanto le risorse possano permettere, rendendo rapidamente inospitale il pianeta e portando alla catastrofe. È quanto si ritiene possa essere accaduto alla civiltà dell’Isola di Pasqua e che adesso potrebbe coinvolgere l’intera umanità su scala globale.
Il quarto scenario è quello che appare più spaventoso, in quanto la civiltà si rende conto di aver innescato dei rapidi cambiamenti ambientali e cerca di utilizzare le risorse in modo tale da non trasformare il pianeta. Tuttavia, questa reazione arriva troppo tardi ed il collasso accade ugualmente. Quest’ultima, secondo quanto sostiene il professor Frank, sarebbe la situazione in cui – drammaticamente – rischiamo di sprofondare.
In questo momento si tratta solo di teoria, ma allargando l’analisi ad altri pianeti e civiltà (aliene) si giunge al cosiddetto paradosso di Fermi: vivendo in una galassia con oltre 100 miliardi di stelle che statisticamente presuppone l’esistenza di altre comunità intelligenti, ci si chiede “dove sono tutti quanti?”.
La risposta è semplice: le trasformazioni ambientali causate dallo sviluppo di qualunque civiltà impediscono la sopravvivenza a lungo termine della stessa o, quantomeno, abbastanza da organizzare esplorazioni verso stelle lontane. È la teoria del Grande Filtro, in base alla quale nessuna civiltà sarebbe in grado di sostenere tutti i passaggi evolutivi e tecnologici che possano portare a comunicare con altri sistemi stellari senza collassare su se stessa.
La maggior parte delle civiltà planetarie, dunque, non arriverebbe a comprendere il percorso sostenibile auspicato nel secondo scenario del professor Frank. Questo, tuttavia, può essere un approccio essenziale alla sopravvivenza della civiltà umana: “Vedere i cambiamenti climatici all’interno di questo contesto cosmico può darci una visione migliore di ciò che ci sta accadendo ora e di come poterlo affrontare.”
“Il cambiamento climatico – sottolinea Frank – non è colpa nostra, non lo abbiamo innescato perché siamo avidi”. Esso sarebbe solo un fenomeno “ordinario” scaturente dallo sviluppo della civiltà, ma il modo in cui rispondiamo ad esso è fondamentale per la nostra esistenza: “Le leggi della fisica richiedono che ogni giovane popolazione, costruendo una civiltà ad alto consumo energetico come la nostra, abbia poi un effetto di ritorno sul suo pianeta. Se non facciamo qualcosa al riguardo, allora sì che la colpa sarà nostra”. E sarebbe troppo tardi per reagire.
Prof Adam Frank – Could Alien Civilizations Predict the Fate of Our Planet?
3 risposte
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