Il 16 settembre ricade la Giornata Internazionale per la Protezione della fascia d’ozono nella stratosfera, una ricorrenza istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per celebrare la firma del Protocollo di Montreal nel 1987 e che ci rammenta l’importanza della riduzione dei clorofluorocarburi nell’atmosfera terrestre.
Il buco dell’ozono
Quello del “buco dell’ozono” è stato un argomento molto diffuso nei decenni scorsi, diventando uno dei fulcri delle tematiche ambientali internazionali.
La funzione dell’ozonosfera è fondamentale per la vita sulla Terra, proteggendo il pianeta dai raggi ultravioletti (UV-C e UV-B). Tuttavia, i clorofluorocarburi emessi quotidianamente dalle attività umane nei paesi industrializzati (in particolare, cloro e bormio, contenuti nei circuiti dei frigoriferi e nelle bombolette spray), reagendo chimicamente con la stratosfera, provocano l’assottigliamento dello strato di ozono e l’allargamento di un enorme squarcio sopra l’area antartica.
Le politiche ambientali internazionali
La crescente consapevolezza all’interno della comunità scientifica internazionale sulla correlazione tra emissioni di gas serra ed impatti climatico-ambientali sul pianeta ha fatto emergere la necessità di un’azione compatta e condivisa da parte degli Stati.
La politica ambientale, pertanto, da una rilevanza esclusivamente nazionale (domestic jurisdiction), ha assunto una valenza globale, nell’intento di garantire lo “sviluppo sostenibile” del pianeta.
Il primo passo importante si ebbe nel 1972, quando nacque il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), che stabilisce l’agenda globale sull’ambiente e promuove le opportune azioni per uno sviluppo sostenibile. Una tappa decisiva fu la creazione, nel 1988, dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), incaricato di fornire report sulle condizioni climatiche ed ambientali del pianeta.
Con queste premesse, nel 1992 fu organizzato a Rio de Janeiro il cosiddetto Summit della Terra, la conferenza internazionale su ambiente e sviluppo i cui esiti, nel corso delle successive conferenze annuali, avrebbero portato alla firma di importanti documenti, tra i quali il Protocollo di Kyoto (1997), gli Accordi di Marrakech (2001) e l’Accordo di Parigi (2015).
Il Protocollo di Montreal
Tra i vari accordi siglati nell’ambito dell’UNEP, uno dei più efficaci è stato proprio quello legato alla protezione dell’ozono stratosferico, siglato a Montreal il 16 settembre 1987. Con esso, le parti firmatarie si impegnavano a contenere i livelli di emissione dei gas clorofluorocarburi (CFC), limitandone la produzione e l’utilizzo in prodotti e sostanze di largo consumo.
Il Protocollo, sebbene indirizzato principalmente agli Stati industrializzati – considerati, chiaramente, i maggiori indiziati dell’inquinamento atmosferico – disciplinava anche aiuti ai Paesi in via di sviluppo per raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di CFC.
Nel 2016, con la conferenza di Kigali in Ruanda, è stato approvato un emendamento con cui i 197 Paesi firmatari si impegnano ad eliminare progressivamente la produzione e l’utilizzo anche degli idrofluorocarburi (HFC), mirando alla riduzione di oltre l’80% entro i prossimi 30 anni (obiettivi che peraltro erano già stati in gran parte prefissati anche dall’Unione Europea con il Regolamento (UE) n. 517/2014, cosiddetto Regolamento F-gas).
Evoluzione del buco dell’ozono, dal 1979 ad oggi. Elaborazione Nasa – OzoneWatch
Risultati: il buco dell’ozono si è progressivamente ridotto
Come ha dichiarato nel gennaio 2018 la responsabile della NASA, Susan Strahan, «il cloro dei CFC sta diminuendo e quindi la perdita di ozono si sta riducendo». Secondo gli studi, la dimensione del buco a settembre 2017 era stata la più piccola dal 1988, con un’estensione massima di 19,6 milioni di chilometri quadrati. Si calcola che entro il 2070 il buco avrà recuperato i livelli del 1980.
Possibili sorprese negative
Tuttavia, recenti analisi scientifiche evidenziano che non tutto va alla perfezione. Come dichiarato dai ricercatori statunitensi della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration) in un recente lavoro – pubblicato su Nature e ripreso da Focus –, è stato rilevato un inaspettato e costante aumento di clorofluorocarburi nella stratosfera.
«Pensiamo che qualcuno stia producendo CFC-11 all’insaputa di tutti, e che esso stia entrando nell’atmosfera», ha affermato Stephen Montzka, coordinatore dello studio. Dalle analisi sembra che la maggiore concentrazione di tali gas si trovi nell’emisfero settentrionale. Un dato allarmante che rischia di rimettere in discussione tutto il lavoro svolto fin qui, rallentando o addirittura invertendo il trend degli ultimi trent’anni.
L’importanza di questa giornata: un simbolo dell’impegno per il pianeta
Proprio in virtù degli ultimi dati – quelli positivi della Nasa e quelli (non si sa ancora quanto) temibili della NOAA –, la Giornata Internazionale per la Protezione della fascia d’ozono nella stratosfera di quest’anno ha una valenza ancora maggiore: ci ricorda che nulla è scontato quando si parla di ambiente.
L’impegno di tutti a livello internazionale dev’essere compatto e costante, spaziando dalla tutela delle risorse naturali, al controllo delle emissioni, all’attenzione verso la sostenibilità energetica.